Aspetta qui con me – Carmela Starace

Ho tradotto questo racconto di Carmela Starace. Qui sotto le prime battute. La versione integrale su Vicolo Cannery.

Aspetta qui con me

Alcune settimane prima che la TAC rivelasse un tumore grande come una palla da tennis nel lobo frontale del mio cervello, è capitato che mi trovassi all’aeroporto di Pechino. A dire il vero non avevo alcun motivo per essere all’aeroporto di Pechino, o in qualunque altro posto in Cina se è per questo. Avrei dovuto essere a casa, nel New Mexico, a fare il mio lavoro da notaio, a insegnare all’università e a correggere la seconda stesura del mio romanzo. Eppure ero là, dopo un volo di ventidue ore, a guardare una nevicata di fine marzo oltre la vetrata nel terminal luccicante e super moderno. Quel viaggio improvviso in Cina era soltanto uno di una serie di decisioni sempre più bislacche che avevo preso negli ultimi tempi: tra le quali c’è stato il prendermi una pausa dal mio matrimonio di dieci anni, vendere la mia casa in periferia al mio ex, e lasciare il lavoro da notaio, ben pagato, per girovagare in lungo e in largo con il SUV BMW che avevo comprato per togliermi uno sfizio. Vivevo nel lusso – e per lusso intendo le mie carte di credito – viaggiavo verso destinazioni a caso senza avere alcun motivo per farlo: Providence, New Orleans, Kennebunkport, Nashville, Durham, e Kentucky (per vedere il Derby.) E ora qui, in Cina.

E comunque è stato allora, nell’aeroporto di Pechino, dopo aver passato la dogana e ritirato il mio bagaglio senza complicazioni, che ho visto il cartello. Precisamente, un cartello appeso al muro tre piani sopra la dogana, di fianco alle scale mobili. Avrebbe dovuto essere utile, e sono certa che lo era per chiunque leggesse il mandarino. Sotto ai caratteri cinesi però, era fornita una traduzione in inglese non esattamente illuminante. “VOI SIETE QUI”.

Questa sarebbe stata un’informazione utile se solo ci fosse stata un’altra indicazione sul dove, esattamente, “qui” fosse. Chiaramente qualcosa si era perso nella traduzione. Poi ho avuto un altro di quei miei momenti – mi succedeva sempre più spesso dall’estate precedente – nei quali mi chiedevo se fossi soltanto io a non capire. Quel cartello era chiaro per tutti gli altri? Magari ero la sola a non sapere dove “qui” fosse. Magari, ancora una volta, ero l’unica a essere persa. Il sole si è fatto largo fra le nuvole di neve e si rifletteva sulle travi di acciaio, abbagliandomi e facendomi uscire dal mio stato di trance. Con il telefono ho scattato una foto al cartello “voi siete qui” e ho proseguito fino all’autobus che mi avrebbe portato dritto alla Grande Muraglia.

Soltanto quattro mesi più tardi, dopo che il tumore era stato trovato, dopo aver subito un’operazione al cervello e aver perso capelli e sopraccilia per la chemioterapia, ho ritrovato quella foto scattata in Cina e ormai dimenticata.

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