Il 31 Gennaio scorso, Paolo Cognetti ha incontrato i suoi lettori presso la libreria Giufré, a Roma, per presentare il suo libro: Sofia si veste sempre di nero [minimum fax 2012]. Io, a causa di uno splendido motivo, non ho potuto partecipare alla serata. Ci tenevo ad essere presente perché Cognetti è uno fra gli autori italiani della nuova generazione che più stimo. L’ho scoperto alcuni anni fa quando ho iniziato ad interessarmi in modo più serio alla letteratura, quando il virus della lettura&scrittura ha preso casa nel mio corpo per poi continuare ad espandersi dentro me in modo virulento e totalizzante (tutt’ora occupa una grande porzione della mia mente, dei miei interessi, del mio essere uomo pensante). Uno dei primi blog che ho incontrato, mentre muovevo i primi passi spinto dalla curiosità di vedere cosa stava succedendo nel mondo editoriale e letterario italiano, è stato Capitano mio capitano, il blog di Paolo. In particolare ho letto con voracia e ammirazione i post etichettati col tag Diario di montagna. In quelle pagine Paolo ha descritto paesaggi, emozioni e persone che immediatamente ho sentito vicine a me. Lo faceva con il suo inconfondibile stile e la sua maestria nel scegliere le parole e nel formare le frasi: un sussurro che si apre dirompente solo quando è già in fondo alla tua mente, come fosse una cosa piccola che sta per esplodere. Nel corso dei mesi con Paolo c’è stato qualche contatto via blog, piccoli scambi mentre io iniziavo a scoprire il piacere di dialogare e sussurrare in quel modo. Abbiamo rischiato di incontrarci in montagna, dopo che abbiamo scoperto un amore in comune per la Val d’Aosta, ma quel giorno stavamo camminando sotto lo stesso cielo ma su sentieri diversi. C’è stata qualche altra presentazione, nel suo lungo tour con Sofia, alla quale ho provato a partecipare ma, ad oggi, non ci siamo mai incontrati. È per questo che l’altra sera ci tenevo proprio ad essere presente, ma lo splendido motivo che mi ha tenuto a casa è che quattro giorni prima era nata mia figlia Sara. Il potere di una creatura di quattro giorni è qualcosa di difficilmente descrivibile, è un qualcosa di totalizzante, ma mentre allenavo il mio braccio al rollio e al beccheggio necessari per facilitare il sonno della creatura, con l’altro leggevo che durante la presentazione di Cognetti ci sarebbe stato un diaologo aperto via twitter. Ed è così che, mentre ridevo ebete ad ogni ruttino di Sara, i tweet con l’hashtag #PaoloCognetti si moltiplicavano:
[Raccontare una storia è anche ammettere di interrogarsi su quello che stai facendo. Scrivere è un’esplorazione.]; [Per lo scrittore di racconti quello che resta fuori è importante come quello che resta dentro. Il limite diventa risorsa.]; [Scrivere è dare una forma a quello che si agita in me e renderlo più chiaro.]; [Il mio lavoro sulla lingua più che sul togliere, è un lavoro sul precisare.]; [L’ultimo racconto di #Sofia l’ho iniziato per primo e l’ho finito per ultimo. Racconta di me che scrivo di lei.]; [Se mi mettessi a raccontare di uomini verrebbero fuori personalità deboli, che crollano. Per me Sofia è come un supereroe.]
Ho letto queste frasi. Le rileggerò. Su queste frasi tornerò a pensare, in un continuo viavai tra vita vissuta e vita raccontata. Un continuo sforzo, che si scriva o meno, per rendere più chiaro ciò che si agita in me. La realtà che mi chiama, splendida ad ogni istante, ad ogni vagito, ad ogni movimento della bocca della piccola mentre io, orgoglioso, grido: mi ha sorriso!
E comunque rimane il fatto che, in qualche modo, grazie a twitter, a quella presentazione c’ero anche io.
Questo post, con lo stesso titolo, ho iniziato a scriverlo alcuni mesi fa, ovvero quando più di una persona mi ha comunicato la decisione di uscire da facebook. Distrazione, perdita di tempo: queste alcune delle ragioni per tale scelta. In particolare Paolo Zardi (autore conosciuto nello stesso periodo tramite il suo blog, e ora anche amico) ha argomentato la sua decisione in questo post.
Il mio personale rapporto con facebook è all’insegna della moderazione. All’inizio il canonico periodo dei contatti con amici, parenti, compagni d’asilo che magicamente riapparivano dopo decenni (mi sono sempre chiesto, forse con troppo cinismo: ma se non ci siamo sentiti per trenta e passa anni, un motivo ci sarà stato, no? Cos’abbiamo da dirci ora?) E quindi più che l’aspetto social ho privilegiato l’aspetto network: amicizie e attivazione aggiornamenti con persone ed “entità” con le quali condivido un interesse comune. Aprire fb, per me, è come trovarmi davanti a una rassegna stampa quotidiana e personalizzata con informazioni, link, suggerimenti, proposte di eventi legati al mondo che mi interessa. In breve tempo, e comunque in modo continuato e costante, il numero di riviste, case editrici, agenzie letterarie, blog letterari e scrittori che seguo è cresciuto in maniera esponenziale.
Case editrici, grandi e piccole (troppe da elencare) e poi riviste letterarie e blog: Inutile, Satisfiction, Colla, Cadillac, El Aleph, Flanerí, Terranullius, WATT, Il primo Amore, Finzioni, Nazione Indiana, Granta Italia, Vicolo Cannery, minima et moralia, Sul Romanzo, Lankelot, Prospektiva, Via dei Serpenti, Archivio Caltari, Atti impuri, Il paradiso degli orchi, Tropico del libro, Doppiozero… (ne sto sicuramente dimenticando molte).
E poi quelle in lingua inglese: ovviamente il Paris Review, il New Yorker, Granta, ma anche Harper’s, McSweeney’s, The Believer, The White Review, The American Reader, Fiddleblack, n+1, Pank Magazine, Black Warrior Review, Narrative Magazine… (altrettante mi sfuggono ora).
Una volta gli scrittori, quelli famosi, erano quasi irraggiungibili mentre ora con loro si può avere un dialogo diretto. Continuando con la ricerca, quasi spasmodica, di contatti e informazioni (ispirazioni?) ecco le Apps: che sorpresa scoprire che il mio amato Geoff Dyer ha un App. Quanti altri? Poi si aggiunge l’eReader, Kindle o quale che sia. Le notifiche che ti suggeriscono ebooks a prezzi stracciati. L’eReader, un’altra nicchia per un altro tipo di letture, i pdf degli amici, le preview che puoi scaricare prima di comprare un libro, gli acquisti istintivi con un click davanti alle offerte a Euro 1.99. Avanti e ancora, ci sono i compagni di blog: tutto un mondo che all’inizio, pur avendo un blog, ho ignorato, ma al quale poi ci si affeziona. A poco a poco ci si commenta a vicenda, ci si conosce, ci si segue, ci si legge. E infine il sopra citato twitter, ultimo arrivato, per me, come tramite di informazioni.
Tutto questo senza aver ancora toccato un libro di carta, tutta questa marea di informazioni, citazioni, rimandi, spunti, che porteranno, in qualche caso, alla concretezza dei libri di carta che rimangono comunque il fulcro della mia vita da lettore.
Ecco: è esattamente questo il bombardamento (autoinflitto peraltro) da cui il titolo di questo post.
Perché, mi chiedo. (Mi) serve veramente? Quanto (mi) rimane di tutto questo? Quanto è veramente “utile”? Spesso seguo e leggo, mi rendo conto, solo per poi poterne scrivere a mia volta. Per trovare uno spunto, un collegamento, un’ispirazione per un post qui sul blog, o per un racconto che ho in mente di scrivere, o per un personaggio che ho in testa. E allora, forse, e lo dico chiaramente a titolo strettamente personale, è arrivato il momento di fare un passo indietro, di essere più drastico nelle scelte, di smetterla di ingoiare tutto ciò che mi viene offerto in questo banchetto senza fondo. Sento il bisogno di liberare la mente, di tornare a vent’anni fa. Al silenzio. Ai diari di montagna di Cognetti. Forse solo allora, quando l’acqua della mia mente non sarà più increspata, costantemente sballottata e incomprensibile, e tornerà calma e trasparente, solo allora vedrò il fondo e solo allora emergerà ciò che veramente si vuole dire, si vuole scrivere. Il che, sia chiaro, potrebbe essere anche niente.
[L’immagine in alto l’ho trovata qui.]
2 thoughts on “Il lettore bombardato”
Bella riflessione.
Grazie per la visita e per il commento 🙂