A volte penso che tradurre letteratura e poesia sia impossibile, se non addirittura inutile. Eppure, da qualche tempo, mi trovo a farlo, sempre più spesso e sempre più volentieri.
Da ormai molti anni lavoro quotidianamente in un contesto nel quale la maggior parte delle persone parla in una lingua che non è la propria (principalmente inglese e spagnolo). Anche tra i madrelingua, l’intera gamma di accenti, regionalismi e modi di dire circoscritti a una particolare area geografica è ampiamente rappresentata: americani, inglesi, australiani, sudafricani, indiani; e spagnoli, argentini, messicani, etc. Tutta questa mezcla riesce a convivere e a comunicare in modo abbastanza produttivo principalmente perché l’oggetto delle conversazioni è di natura tecnica e il vocabolario usato è limitato alle parole strettamente legate all’argomento in questione.
Ben diverso sarebbe sperare di ottenere la stessa efficacia di comunicazione su argomenti non tecnici o al di fuori del linguaggio legato al lavoro. Quando si esce dal lavoro e un francese un po’brillo cerca di comunicare (in inglese) le sue pene d’amore a un peruviano, quanto di quel messaggio verrà realmente capito? Tradurre i sentimenti è estremamente difficile (già è complicato esternarli nella propria lingua) ed è per questo che a volte penso che tradurre letteratura e poesia – forme di comunicazione intrise di elementi culturali legati alla lingua madre dell’autore, linguaggio di sensazioni, di metafore, visioni e sentimenti – sia impossibile, o perlomeno molto difficile.
Non starò qui ora a scavare nel cratere della convinzione di una sostanziale e tragica incomunicabilità fra gli esseri umani. Ben altre analisi sarebbero necessarie. Continuiamo quindi con la convinzione che trasmettere un sentimento sia possibile e di conseguenza si possa tentare di tradurlo in un’altra lingua.
In termini tecnici si può dire che traducendo si vuole raggiungere un’ equivalenza di significato: sinonimia, e una equivalenza connotativa: ovvero il modo in cui parole e frasi stimolano nella mente degli ascoltatori (o lettori) particolari associazioni mentali o reazioni emotive.
Nel suo Dire quasi la stessa cosa, [Bompiani, 2003], Umberto Eco definisce la traduzione come una negoziazione fantasmatica che, in assenza di referenti reali, deve basarsi su referenti ideali: “Il traduttore deve negoziare con il fantasma di un autore sovente scomparso, con la presenza invadente del testo fonte, con l’immagine ancora indeterminata del lettore per cui sta traducendo” E quindi, il traduttore è colui che deve capire il sistema interno di una lingua e della struttura di un testo, costruire “un doppio del sistema testuale che, sotto una certa descrizione, possa produrre effetti analoghi nel lettore, sia sul piano semantico e sintattico che stilistico, metrico, fonosimbolico”.
La parola negoziazione legata al processo della traduzione mi sembra particolarmente azzeccata, così come il “quasi” del titolo definisce quell’interstizio fra un testo e la sua versione tradotta. La domanda che si pone Eco, quindi, riguarda l’elasticità di quel “quasi”. Dando per scontato che quando si traduce il testo diventa un’altra cosa, la vera sfida è cercare di capire come, pur sapendo che non si dice mai la stessa cosa, si possa dire quasi la stessa cosa. A questo punto ciò che fa problema non è più tanto l’idea della stessa cosa, né quella della stessa cosa, bensì l’idea di quel quasi.
Poi ho letto The Rape Joke, una poesia di Patricia Lockwood pubblicata su The Awl a fine Luglio. The rape joke è diventato subito virale su internet: centinaia di commenti, quasi trentamila condivisioni su facebook, articoli (per esempio questo sul Guardian, con altre centinaia di commenti, e questo). Subito dopo aver letto l’ultima riga – è un testo breve – ho avuto il desiderio di non lasciarla andare via, di non dimenticarla con un semplice click-chiudi finestra, e il modo migliore per tenere quelle parole con me ancora per un po’è stato di provare a tradurle.
Ho completato il lavoro in un’unica frenetica seduta, assillato, via via che spuntavo i versi già tradotti, da due domande. La prima di natura morale, la seconda di natura semantica. Che diritto ho, mi chiedevo, di introdurmi in un sentimento così privato, in un’esternazione così potente? Mi è sembrato quasi di essere stato colto da una curiosità morbosa verso il dolore di un’altra persona. Dolore, va detto, che raggiunge livelli di straziante autoironia [Lo scherzo dello stupro è se tu scrivi una poesia e la chiami Lo scherzo dello stupro, te la stai cercando se poi quella diventa l’unica cosa che la gente ricorda di te]. La seconda è legata alla difficoltà di tradurre la frase the rape joke che nella poesia è titolo, è anàfora che scava nella ferita a ogni ripetizione. The rape joke è anche soggetto, persona, è un ombra che fra le righe appare ogni volta sotto una forma diversa – ed è anche questa, a mio parere, la forza di quella poesia.
Alla fine ho chiuso la finestra, chiuso il file, e sono rimasto per qualche istante a guardare il volto di Patricia Lockwood, moltiplicato in tutti i thumbnails di Google images, e ho provato una certa commozione chiedendomi quante persone abbiano fatto lo stesso, quante persone Patricia sia riuscita a raggiungere con le sue parole, aprendo un piccolo squarcio di luce nel telo nero della nostra incomunicabilità.
Lo scherzo dello stupro – su Vicolo Cannery
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***L’immagine in alto è quella scelta da Martina Giorgi di Vicolo Cannery nel post originale sul loro blog.
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Aggiornamento: il sito di Vicolo Cannery è andato off-line. Qui sotto il testo completo.
Lo scherzo dello stupro – di Patricia Lockwood
Lo scherzo dello stupro è che avevi 19 anni.
Lo scherzo dello stupro è che lui era il tuo ragazzo.
Lo scherzo dello stupro aveva il pizzetto. Il pizzetto.
Immagina lo scherzo dello stupro che si guarda allo specchio, riflettendosi in modo perfetto, e che si pettina per sembrare ancor di più come lo scherzo dello stupro. “Ahhhh”, pensa, “Sì, il pizzetto”.
Senza offesa.
Lo scherzo dello stupro è che lui aveva sette anni più di te. Lo scherzo dello stupro è che lo conoscevi da anni, fin da quando eri troppo piccola per interessargli. Ti piaceva l’uso della parola, interessante, come se tu fossi un’informazione che qualcuno avrebbe
voluto disperatamente acquisire, assimilare, e poi sputare fuori in altra forma attraverso la sua bocca col pizzetto.
Poi improvvisamente eri più grande, ma neanche tanto.
Lo scherzo dello stupro è che avevi bevuto wine coolers. Wine coolers! Chi cazzo beve wine coolers? Quelle che vengono stuprate, a sentire lo scherzo dello stupro.
Lo scherzo dello stupro è che era un buttafuori, e di mestiere teneva fuori le persone.
Non te!
Lo scherzo dello stupro è che aveva un coltello, e te lo faceva vedere, e lo rigirava in mano come fosse un libro.
Non voleva spaventarti, questo l’hai capito, È solo che gli piaceva tanto il suo coltello.
Lo scherzo dello stupro è che una volta ha quasi ucciso un tipo scaraventandolo oltre una finestra. Il giorno dopo te l’ha detto e tremava, cosa che tu hai interpretato come un segno della sua sensibilità.
Come può essere così stupida un’informazione? Ma chiaramente tu eri così stupida.
Lo scherzo dello stupro è che qualche volta ti diceva che uscivate insieme e poi ti portava a casa del suo migliore amico, Peewee, e ti faceva guardare il wrestling mentre loro si
sballavano.
Lo scherzo dello stupro è che il suo migliore amico si chiamava Peewee.
OK, lo scherzo dello stupro è che adorava la bamba.
Cioè, il tipo era proprio invasato con la bamba. Pensava che era troppo forte quello che
sapeva fare con le sopracciglia.
Lo scherzo dello stupro è che chiamava il wrestling “soap opera per uomini”. Anche agli
uomini piacciono le serie tv, ti assicurava.
Lo scherzo dello stupro è che la sua libreria non era altro che una fila di tascabili sui serial killers. Tu l’hai frainteso per un interesse per la storia, e seguendo questo malinteso una volta gli hai regalato una copia di Il mio secolo di Günter Grass, che non ha neanche mai provato a leggere.
Ora arriva il bello.
Lo scherzo dello stupro è che teneva un diario. Mi chiedo se scrivesse dello stupro lì dentro.
Lo scherzo dello stupro è che una volta lo hai letto, e parlava di un altra ragazza. La chiamava Miss Geography, e diceva che “non aveva più quelle tentazioni quando la guardava”, non più da quando ha incontrato te. Per un pelo, Miss Geography!
Lo scherzo dello stupro è che era alunno di tuo padre al liceo – tuo padre insegnava religioni del mondo. Lo aiutavi a pulire la classe alla fine dell’anno, e lui ti lasciava portare a casa i libri più rovinati.
Lo scherzo dello stupro è che lui ti conosceva quando avevi 12 anni. Una volta ha aiutato la tua famiglia a traslocare e avete guidato insieme da Cincinnati a St. Louis, solo voi due, e lui era gentile con te, e tu hai parlato per tutto il viaggio. Lui ha tenuto il tabacco in bocca per tutto il tempo, e tu gli hai detto che era disgustoso e lui ha riso, e ha sputato attraverso il suo pizzetto in una bottiglia di Mountain Dew.
Lo scherzo dello stupro è che, eddai, avresti dovuto aspettartelo. Lo scherzo dello stupro si sta praticamente scrivendo da solo.
Lo scherzo dello stupro è che tu eri a faccia in giù. Lo scherzo dello stupro è che tu avevi una collanina verde che tua sorella aveva fatto per te. Più tardi l’hai tagliata a pezzi. Il materasso, e la tua bocca aperta e schiacciata contro, ti davano una sensazione particolare, come se stessi parlando, ma sai bene che non lo stavi facendo. Come se la tua bocca fosse aperta dieci anni nel futuro, mentre recita una poesia che si chiama Lo scherzo dello stupro.
Lo scherzo dello stupro è che il tempo è diverso, diventa più orribile e più abitabile, e concilia il tuo bisogno di andare più a fondo.
Proprio come il corpo, che più che una forma concreta è una capienza.
Tu sai che il corpo del tempo è elastico, e sopporta quasi tutto ciò che gli dai, e guarisce in
fretta.
Lo scherzo dello stupro è che ovviamente c’era sangue, che negli esseri umani è così vicino alla superficie.
Lo scherzo dello stupro è che tu sei andata a casa come se non fosse successo niente, e ci hai riso sopra il giorno dopo, e quello dopo ancora, e quando l’hai detto agli altri, ridevi, e quello era lo scherzo dello stupro.
C’è voluto un anno per dirlo ai tuoi genitori, perché lui era come un figlio per loro. Lo
scherzo dello stupro è che quando l’hai detto a tuo padre, lui ha fatto il segno della croce
sopra la tua testa e ha detto “io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo”, il che, anche nella sua completa assurdità, è stato davvero dolce.
Lo scherzo dello stupro è che sei diventata pazza per i successivi cinque anni, e hai dovuto cambiare città, e stato, e giorni interi se ne sono andati giù per lo scarico del lavandino pensando a perché era successo. È come se andassi in giardino e improvvisamente non ci fosse più, e tu guardi giù al centro della terra, che rinnova il suo fragore rosso in eterno.
Lo scherzo dello stupro è che dopo un po’ di tempo non eri più pazza, ma, per un pelo, Miss Geography.
Lo scherzo dello stupro è che per i successivi cinque anni non hai fatto altro che scrivere, ma mai di te stessa, di qualsiasi altra cosa, di mele sull’albero, di isole, di poeti morti e di vermi, e non c’era nessun corpo caldo in quello che scrivevi, era da un’altra parte.
Lo scherzo dello stupro è che questo è finalmente candido. Lo scherzo dello stupro è che tu non scrivi in modo candido.
Lo scherzo dello stupro è se tu scrivi una poesia e la chiami Lo scherzo dello stupro, te la stai cercando se poi quella diventa l’unica cosa che la gente ricorda di te.
Lo scherzo dello stupro è che tu hai chiesto perché lui l’ha fatto. Lo scherzo dello stupro è che lui ha detto che non lo sapeva, certo, cos’altro dovrebbe dire uno scherzo dello stupro? Lo scherzo dello stupro ha detto che TU era quella ubriaca, e lo scherzo dello stupro ha detto che tu ti ricordi male, il che ti ha fatto sbellicare dalle risate per, tipo, un secondo. I wine coolers non erano Bartles & Jaymes, ma per lo scherzo dello stupro sarebbe divertente se lo fossero stati. Era un qualche gusto da femmina, tipo Passionate Mango o Destroyed Strawberry, che tu hai trangugiato fiduciosa senza far domande nel cuore di Cincinnati, Ohio.
Può essere comico lo scherzo dello stupro? Questa è la domanda.
Può essere comica una qualsiasi parte dello scherzo dello stupro? La parte in cui finisce –
haha, scherzo! Però tu hai veramente sognato, per anni, di uccidere lo scherzo dello stupro, versando tutto il suo sangue, e di raccontarla in quel modo.
Lo scherzo dello stupro rivendica a gran voce il diritto di essere raccontato.
Lo scherzo dello stupro è che è andata proprio così.
Lo scherzo dello stupro è che il giorno dopo ti ha regalato l’album Pet Sounds. No, dico. Pet Sounds. Ha detto che gli dispiaceva e poi ti ha regalato Pet Sounds. Dai, questo un po’ comico lo è.
Ammettilo.
2 thoughts on “(Tradurre) Lo scherzo dello stupro – Patricia Lockwood”
Adoro il tuo modo di scrivere, di affrontare i temi fondamentali della scrittura – i problemi, le soluzioni!
Grazie, Paolo. Sempre molto (troppo) generoso.