A distanza di oltre vent’anni dalla prima lettura, riprendo in mano Ishmael di Daniel Quinn. Il romanzo venne pubblicato nel 1992 e ricevette il Turner Tomorrow Fellowship Award, un riconoscimento per le opere di narrativa che propongano soluzioni originali ai problemi del pianeta.
Ricordo con precisione il momento nel quale mi venne regalato Ishmael. Fu per mano di un amico, ai tempi dell’università, uno che aveva tutte le caratteristiche per essere un eroe letterario: un po’ Jim Morrison, un po’ Neal Cassady, un po’ Donald Shimoda — il messia di Illusioni di Richard Bach.
In quegli anni respiravamo la vita a pieni polmoni. Sperimentavamo i nostri limiti e quelli del mondo. Procedevamo a tentoni, con un andatura vagamente beat — io provavo a fare il Japhy Ryder (alias di Gary Snyder) de I vagabondi del Dharma di Kerouac. Muovevamo i primi passi nella vita “vera”, e nel vano sforzo di comprenderla ci prendevamo gioco di essa.
Fu anche per questo motivo che Ishmael mi colpì subito come un pugno in faccia, una ferita e poi una cicatrice che mi avrebbe accompagnato per tutti gli anni a seguire. Ancora oggi riconosco i segni di quel libro nella mia mente.
Questo l’incipit:
La prima volta che lessi l’annuncio mi mancò il fiato, imprecai, sputai e buttai per terra il giornale. Dato che non mi sembrava abbastanza, lo raccolsi, andai in cucina e lo buttai nella spazzatura. Già che c’ero, mi preparai uno spuntino e sedetti un attimo per calmarmi. Mentre mangiavo, pensai a tutt’altro. Dopo, recuperai il giornale dal sacchetto dell’immondizia e cercai di nuovo la pagina degli annunci personali per controllare se quelle maledette parole c’erano ancora, identiche a come me le ricordavo. C’erano.
MAESTRO cerca allievo. Si richiede un sincero desiderio di salvare il mondo. Presentarsi di persona.
Un maestro. Non è forse ciò che tutti noi stavamo cercando? Da allora Ishmael è stato uno dei miei maestri e il libro è diventato un caposaldo del mio percorso di lettore e di essere umano.
La trama del romanzo è semplice: il protagonista si presenta nel luogo indicato aspettandosi di trovare un’orda di babbei pronti a spegnere il cervello in cambio del raro privilegio di accovacciarsi ai piedi di qualche guru illuminato dalla grande rivelazione che tutto andrà per il meglio se ognuno si volterà e abbraccerà il suo vicino. E invece non c’era nessuno. Una stanza vuota e, dietro a un vetro, un gorilla adulto, gigantesco, dall’aspetto terrificante e lo sguardo pacifico. Era lui il maestro, Ishmael.
Il protagonista scopre che Ishmael è in grado di comunicare in modo telepatico e da qui inizia un lungo dialogo sul modello Socratico che ha come oggetto la storia di come l’umanità è arrivata alla situazione nella quale si trova oggi. Ishmael accompagna il suo alunno e lo invita ad analizzare i miti alla base della civiltà moderna sfidando l’idea stessa degli esseri umani come il punto più alto dell’evoluzione biologica. Cos’è che rende l’homo sapiens così diverso da tutte le altre specie che popolano al terra?
In realtà Ishmael è un libro che parla principalmente di prigionia. La tesi di Quinn si basa sulla convinzione che l’umanità sia prigioniera di una storia dalla quale è incapace di emanciparsi. Queste le prime battute del dialogo fra i due, con Ishmael che spiega al suo alunno qual è la materia che insegna.
— […] Il mio soggetto è la prigionia.
— La prigionia.
— Esatto.
Restai in silenzio per qualche secondo, poi ribattei: — Sto cercando di capire che cosa c’entra con la salvezza del mondo.
Ishmael rifletté per un attimo. — Tra la gente della tua cultura, chi è che desidera distruggere il mondo?
— Chi desidera distruggerlo? Per quel che ne so, nessuno.
— Eppure lo state distruggendo tutti, dal primo all’ultimo. Tutti voi contribuite ogni giorno alla distruzione del mondo.
— È vero.
— E allora perché non vi fermate?
Scrollai le spalle. — Francamente, non sapremmo come fare.
— Siete prigionieri di una civiltà che in pratica vi obbliga a continuare a distruggere il mondo per sopravvivere.
— Sembra di sì.
— Dunque siete prigionieri… e avete fatto del mondo intero un prigioniero. Dunque è questo a essere in gioco, non è vero? La vostra prigionia e la prigionia del mondo.
Durante i primi incontri, Ishmael definisce alcuni concetti chiave. Divide gli esseri umani, sulla base dei loro antitetici modi di considerare se stessi e il mondo, in due categorie: i Prendi (noi uomini civilizzati) e i Lascia (gli umani che vivono in culture tribali). I Lascia sono convinti che l’uomo appartenga al mondo, il quale è un luogo essenziale per la vita e deve quindi essere preservato, e riconoscono che l’uomo è solo una specie tra le altre, senza particolari privilegi o doveri. I Prendi invece (originatisi dalla rivoluzione agricola, circa 10.000 anni fa) considerano il mondo una proprietà dell’uomo e ritengono di poterlo sfruttare e modificare a piacimento.
Il dialogo prosegue con un’analisi dei fondamenti della società civilizzata dal punto di vista culturale, sociale e religioso. I due arrivano a constatare che la conoscenza del come vivere è qualcosa che non ci è mai stata data.
— Siete capaci di rompere l’atomo, di mandare esploratori sulla Luna, di manipolare i geni, e non sapete come la gente deve vivere?
Ci siamo illusi di saperlo, ci siamo convinti di saperlo, e l’aver mangiato il frutto dall’albero della conoscenza (così come ci è stato tramandato dalle tradizioni religiose) non ha dato all’uomo la capacità di discernere il bene dal male ma solo la convinzione di saperlo fare.
In questo modo, iniziando a praticare una nuova forma di agricoltura, l’uomo ha iniziato a infrangere la legge della competizione limitata. Questa legge di natura è basata sul fatto che ciascuna specie può competere con le altre ma non arriverà mai ad estinguere completamente una specie concorrente perché ciò metterebbe in pericolo la propria stessa esistenza. Attuando un’agricoltura di tipo totaliatario, basata sull’accumulo, l’obiettivo dell’uomo è diventato dichiarare guerra ai propri concorrenti, distruggere il loro cibo e negargli l’accesso alle risorse alimentari. Questa cultura ha fagocitato tutte le altre al punto che, sostiene Quinn, la nostra ci appare come l’unica mai esistita.
Dopo la rivelazione della prima lettura, alcuni anni dopo ho riletto Ishmael e il risultato è stato una sensazione di incompiutezza. I concetti espressi da Quinn sono plausibili e convincenti e vanno a minare le fondamenta dell’intero impianto culturale col quale siamo cresciuti e che ci è stato tramandato da generazioni. Rimane però una domanda fondamentale: se veramente crediamo al messaggio di Ishmael, cosa possiamo fare noi come individui?
Questa domanda emerge con ancor più veemenza in questi nostri giorni in cui l’impatto del nostro modo di vivere ci si sta ritorcendo contro, in termini di crisi ambientale, che è la diretta conseguenza di una crisi innanzitutto sociale e culturale. Cosa può fare ognuno di noi per arrestare la caduta libera verso una progressiva autodistruzione causata dalla sistematica distruzione del mondo che ci circonda?
Quinn stesso era consapevole che, per quanto il suo messaggio fosse stato accolto da un gran numero di persone, che a loro volta hanno contribuito a diffondere le sue idee (si veda la comunità sorta intorno a ishmael.org), il suo romanzo non forniva soluzioni. Ishmael era riuscito a scardinare paradigmi mentali ma serviva qualcos’altro. Quinn si è rimesso a scrivere e Ishmael è diventato parte di una trilogia (insieme a The Story of B e My Ishmael) nella quale vengono trattati sempre più in profondità le tematiche contenute in Ishmael, ma è solo con Beyond Civilization (questa volta un saggio) che Quinn prova a fornire linee guida per compiere il passo e, appunto, andare oltre la civilizzazione così come l’abbiamo sempre conosciuta. Quinn propone una Nuova Rivoluzione Tribale, una rivoluzione socio culturale che mira a generare nuovi modi di esistenza, ecosostenibili e soddisfacenti per i propri membri. L’obiettivo della Nuova Rivoluzione Tribale non è trovare un unico modello di vita bensì generare il maggior numero possibile di nuovi stili di vita.
Quinn utilizza il termine rivoluzione ma non la intende come un unico atto sovversivo. La Nuova Rivoluzione Tribale non verrà guidata da nessuno, non avrà bisogno di alcun leader o profeta. Dovrà compiersi in modo incrementale da persone che miglioreranno ed estenderanno l’una le idee dell’altra (caratteristica, questa, che secondo Quinn ha costituito la grande innovazione della Rivoluzione Industriale e la ragione del suo successo). Non avrà un punto di arrivo prestabilito né procederà secondo un programma. In linea con le norme delle società tribali, ogni necessità individuale verrà soddisfatta da tutta la tribù, e ogni membro si prenderà cura del resto della tribù, non per altruismo o generosità ma perché conviene personalmente a tutti comportarsi così: se io aiuto il resto della tribù, poi ogni volta che sarò io ad aver bisogno di qualcosa, il resto della tribù aiuterà me.
Non è semplice, neanche per chi sente il ticchettio dell’orologio del mondo avanzare inesorabilmente. Non è semplice disinnescare i meccanismi culturali ai quali siamo abituati da secoli – un periodo, peraltro, che a noi sembra lunghissimo ma che in realtà costituisce solo una minima parte della storia della presenza dell’uomo sulla terra. Per centinaia di migliaia di anni (fino alla rivoluzione agricola di 10.000 anni fa, come ampiamente spiegato in Ishmael), l’uomo ha vissuto in modo perfettamente sincrono con le leggi della natura. Quinn però non propone di regredire a uno stile di vita primitivo, tutto il contrario, l’obiettivo è di andare oltre, lasciandoci alle spalle l’idea di civilizzazione che abbiamo sempre considerato non solo come valida ma soprattutto come unico modo di vivere.
Nel corso degli anni ho consigliato e regalato Ishmael a decine di persone. L’ho fatto per il desiderio di passare il testimone, cosí come l’avevo ricevuto io, anni prima. L’ho fatto anche perché credo ancora che la letteratura possa avere un ruolo importante per informare e stimolare riflessioni su tematiche di interesse globale e sul nostro ruolo come essere umani sulla terra. Nel suo libro La grande cecità (Neri Pozza, 2017), Amitav Ghosh lancia il suo j’accuse: “Il cambiamento climatico dovrebbe essere la principale preoccupazione degli scrittori di tutto il mondo”, e invece la maggior parte dei romanzi pubblicati si perde nella micro-analisi ombelicale di problemi individuali. L’ossessione di occuparsi soltanto dei problemi dell’uomo, credo, è una delle cause del progressivo inaridimento della letteratura: per stare dietro a questo “individuo” si allontana sempre più dalle tematiche originali che ne hanno favorito la nascita.
Ishmael è un romanzo sui generis, molto vicino al saggio e costituito interamente da una narrazione in forma di dialogo, ma è forse anche per il suo essere romanzo (oltre alla forza del contenuto) che è riuscito ad avere un tale successo (tradotto in oltre 25 lingue e più un milione di copie vendute). Onore quindi a Quinn per essere stato fra i primi a provare ad aprire la mente dei suoi simili, invitandoli a mettere in discussione le fondamenta della nostra civiltà. Con l’acutizzarsi delle problematiche globali, sempre più vicine, anche a noi che viviamo nel ricco nord del mondo, le sue idee stanno riemergendo e trovano nuovi portavoce. Cresce la convinzione che l’emergenza ambientale sia la cosa migliore che ci potesse capitare perché ci fornisce l’occasione per compiere un passo in avanti, cambiare radicalmente direzione e basare la vita sulla terra su nuovi paradigmi.
Ishmael è vivo.
Daniel Quinn invece è morto, quest’anno, a 83 anni. Di lui rimangono i suoi libri e la forza delle sue idee.
Ora tocca a noi, e agli eroi di vent’anni.
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Nota: Ishmael è stato pubblicato da Il Saggiatore nel 1999 ma ora non è facilmente reperibile. Una versione in pdf, in italiano, è disponibile qui.