Pensa il risveglio – Alessandro Cinquegrani

In uno dei suoi discorsi, Alan Watts ci invita a immaginare come sarebbe andare a dormire e non svegliarsi più, e poi a pensare com’è stato svegliarsi senza essersi mai addormentati.

Questa provocazione, tipica di un koan zen, è stato il sottofondo mentale che mi ha accompagnato mentre mi immergevo sempre più in profondità nelle pagine di Pensa il risveglio di Alessandro Cinquegrani, Terrarossa edizioni.

Così come i koan zen hanno lo scopo di creare un corto circuito mentale, uno shock causato dalla consapevolezza di non poter giungere alla soluzione secondo i parametri del pensiero razionale così, mentre leggevo avidamente, quasi di fretta, come alla ricerca di qualcosa al quale aggrapparmi, mi sono presto reso conto che una soluzione non sarebbe arrivata, che ero nel mezzo di qualcosa di simile a una pratica meditativa, che dovevo procedere resistendo agli schemi del pensiero convenzionale.

Da quel momento mi sono abbandonato alla lettura con tutto me stesso, senza paracadute, con la mente vuota e in balia delle onde di questo testo sorprendente e coraggioso.

Scrivo queste righe su Pensa il risveglio a sette mesi di distanza dalla sua pubblicazione, dopo che il libro ha già ricevuto ampio consenso e recensioni acute (raccolte qui). Non farò alcun accenno quindi alla trama – cosa per altro non semplice – perché raramente scrivo sul cosa ho letto ma sul come, e su come il libro ha letto me.  Sì, perché la narrazione ci presenta un uomo che seguendo le tracce dell’amico scomparso finisce per compiere un viaggio dentro se stesso, alla ricerca della propria identità; e così noi lettori non possiamo fare a meno di guardarci dentro ad ogni pagina, rielaborando i frammenti della nostra esistenza. Frammenti che, anche se ricomposti, lasciano trasparire molte crepe – parola emblema del romanzo – ma è proprio attraverso queste crepe che si può intravvedere l’interezza. Per dirla alla Leonard Cohen: there is a crack in everything, that’s how the light gets in

Il libro, ora che lo riapro, è scalfito da sottolineature, note, punti esclamativi, punti di domanda, segni e circolettati, a testimonianza di un percorso fatto di inciampi e rivelazioni, folgorazioni e buchi neri. Cinquegrani ci offre colpi di scena al limite della credibilità, metafore azzardate, in un intreccio sofisticato e complesso nel quale rivela doti non solo da scrittore ma anche e sopratutto da sceneggiatore, e aggiungerei saggista. Ricordo dialoghi letti come se li si sentisse a voce, scene potenti, vivide, anche quando si mischiano a sogni e visioni. Realtà e sogno che si fondono in un mix letale.

Poi per qualche settimana ho abbandonato il libro, braccato dalla realtà quotidiana, non ho letto altro ma ogni tanto Pensa il risveglio si faceva vivo, di notte o in quelle crepe di tempo fra la notte e il giorno, in quei momenti in cui non capisci se ti stai addormentando o svegliando, e allora aprivo il libro e leggevo qualche pagina, sulla metro o in pausa pranzo, o sulla tazza. È stato in uno di quei momenti che mi è tornato in mente un libro letto una decina di anni fa: Sparire di Fabio Viola – Marsilio. In una recensione apparsa su Doppio Zero, il libro veniva definito come: inospitale, faticoso, che fa sentire in trappola. Ci riguarda, e non lo vorremmo. Parole che a me suonano come complimenti e che sento affini a ciò che ho provato leggendo Pensa il Risveglio.

Cinquegrani chiede molto al lettore, per fortuna qualcuno lo fa. E per fortuna ci sono editori che accettano queste scommesse. I ringraziamenti vanno certamente ad entrambi.

Non ho ancora terminato il libro, mi mancano poche pagine, ma ne scrivo ora, tornando alla realtà ancora per qualche giorno prima di re-immergermi nel sogno, prima di pensare il risveglio. E poi forse non svegliarmi più.

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