Cosa avrebbe fatto Fellini a Bangkok? Un viaggio onirico, un mio racconto breve su minima&moralia.
Verso la fine di Ottobre la stagione delle piogge volge al termine. Ancora qualche scroscio violento allagherà le strade e i sotterranei, ma a fine giornata l’aria è più fresca. Come questa sera, mentre percorro Rama IV per tutta la sua lunghezza, fino alla Samyan House. Poi, dopo un brevissimo inverno – se così si può definire – tornerà il caldo, un caldo asfissiante e ostinato.
Federico Fellini – il nostro Federico Fellini – non credo si sarebbe trovato a proprio agio, qui. Lo immagino sudato nella camicia, appiccicata dove passano le bretelle. Tutt’al più si sarebbe perso in quei viaggi onirici che sono le visite ai templi lungo il Chao Phraya. Ne avrebbe apprezzato le architetture, le linee oblique dei tetti spioventi e i pennacchi dorati agli angoli. Si sarebbe perso nel labirinto claustrofobico dei motivi geometrici che rivestono le pareti. Avrebbe infine incontrato nuovi sguardi e volti scolpiti con armonie inusuali: ragnatele di rughe sugli zigomi degli anziani e giovani labbra che sbocciano su visi dorati. Li avrebbe guardati con un senso di inadeguatezza, di non appartenenza. Ma non è forse così che è sempre stato il suo sguardo?
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