La prima volta che ho ascoltato la musica di Woody Guthrie ero nella condizione perfetta per farlo. Stavamo viaggiando da Phoenix verso nord. J. al volante del suo pick-up beige e io seduto di fianco. Finestrini abbassati e vento caldo, stavamo lasciando l’asfalto per andare nel bosco. La statale 17 esce dalla simmetria alienante della città, si butta nel deserto e, accompagnati dai cactus, quasi senza accorgersene si inizia a salire. Col passare dei chilometri la sabbia lascia spazio alla roccia. Ai cactus e agli alberi di Yucca si uniscono dapprima i pinyon pine, bassi, contorti e sfigurati dalle condizioni estreme e poi, più si sale, betulle, pini e abeti. Quando si sente il profumo di vaniglia dei tronchi di pinus ponderosa, vuol dire che si è arrivati. Quel viaggio per noi è stato l’inizio di un qualcosa che è durato per molti anni. Ci piaceva cantare e poi dormire sotto le stelle, accendere un fuoco e spaccare la legna. E Woody Guthrie è sempre stato la nostra colonna sonora. Era il 1993 e avevo vent’anni.
Woody Guthrie è uno che del viaggiare ha fatto uno stile di vita. Viaggiatore di fortuna, di treni presi al volo e vagoni merci condivisi con braccianti che inseguivano il lavoro. Guthrie il viaggio lo ha iniziato da Okemah (Oklahoma) dove naque nel 1912. Erano anni di miseria e sofferenze (Great Depression, Dust Bowl). Fin da piccolo ha provato sulla sua pelle la durezza della vita e ha vissuto tutte le esperienze tipiche di quel periodo storico. Suo padre viene travolto dalla crisi finanziaria e perde quel po’ di ricchezza che aveva accumulato. Sua madre viene dichiarata pazza e internata (affetta dal morbo di Huntington, allora sconosciuto). La loro casa viene distrutta da un incendio e una sorella muore a causa di un incidente domestico. Guthrie esce da quel periodo con una buona dose di rabbia contro il capitalismo e di attenzione per i diseredati.
Woody Guthrie è uno che ha deciso di mettersi in viaggio e lo ha fatto per tutta la vita, sempre con un quaderno e con la sua chitarra, il suo unico strumento di lavoro. Nelle sue canzoni ha dato voce a quegli americani che sembrano non aver mai realizzato il celeberrimo “American Dream”: agli sconfitti, ai vagabondi, alle vittime del destino e della società.
Strada facendo è diventato il più grande poeta e cantautore popolare americano, modello e ispirazione per almeno due generazioni di cantautori: Bob Dylan, Pete Seeger, Bruce Springsteen, Tom Waits. E così, nella mia raccolta, i dischi di The Asch Recordings sono fra i più consumati. C’è un altro disco al quale sono particolarmente affezionato: Mermaid Avenue. Questo album raccoglie scritti inediti di Guthrie musicati da Billy Bragg. Un binomio estremamente vincente.
Infine, per aggiungere un altro pezzo al mio viaggio con Woody ecco che la casa editrice Marcos y Marcos pubblica “Questa terra è la mia terra”. Si tratta dell’autobiografia di Guthrie (pubblicata nel 1943 col titolo Bound for Glory). La prima edizione italiana è datata 1977 e ora viene riproposta in una versione più completa con l’aggiunta di capitoli precedentemente esclusi. Un libro che non è solo l’autobiografia di Guthrie, ma anche la biografia di un tempo, di un periodo storico e sociale.
Nella prefazione, Alessandro Portelli avvicina l’opera di Guthrie all’America e ai protagonisti di John Steinbeck (The Grapes of Wrath) e di Jack London (The Road), eredità raccolta (tra gli altri) da Jack Kerouac (On the Road): tutti protagonisti di viaggi personali attraverso l’America più nascosta. La differenza tra Guthrie e gli altri però è che non c’è niente di epico nelle vicende raccontate da Guthrie, per il quale viaggiare è certamente stato avventuroso ma non è mai stato compiuto per rispondere a un’esigenza di avventura.
[Woody Guthrie Foundation and Archives: www.woodyguthrie.org]
[Woody Guthrie Centennial Celebration Website: www.woody100.com]