Trilobiti – Breece D’J Pancake

Basterebbero le frasi in quarta di copertina a farti decidere di comprare questo libro. Quando leggi espressioni di stima come queste sai già che hai di fronte qualcosa di speciale. Tom Waits: “E’ il mio scrittore preferito”; Kurt Vonnegut: “Si tratta semplicemente dello scrittore più sincero che io abbia mai letto. Quello che temo è che questo gli abbia dato troppo dolore, non c’è nessun divertimento a essere così bravo. Ma né tu né io lo sapremo mai”. La lista continua e c’è anche chi paragona il suo debutto a quello di Hemingway (Joyce Carol Oates). Però si sa, in quarta di copertina spesso ci sono frasi stampate solo per far da cucchiaino sulla lenza. Nel mio caso, il motivo per cui ho acquistato Trilobiti di Breece D’J Pancake (Ed. Isbn) è che me lo ha consigliato il libraio della mia libreria preferita, l’altra sera, quando sono entrato senza un titolo o un autore in testa.

Prima di mettermi a leggere i dodici racconti di Trilobiti, come mio solito, mi sono chiesto: chi è l’autore? E in questo caso, chi è Breece D’J Pancake? L’introduzione al libro di Giacomo Papi dice già tutto, forse troppo, perché quando leggi che l’autore dei racconti che stai per leggere si è sparato a ventisei anni, è impossibile non portarti dietro quel pensiero mentre giri le pagine. Anche Percival Everett, che ha scritto la postfazione di Trilobiti (la si può leggere sul blog di Satisfiction) ne è perfettamente conscio ma compie lo sforzo di staccare l’autore dall’opera d’arte e giudica la forza narrativa dei racconti in quanto tali. Questi dodici racconti – parafrasando ciò che ha scritto Everett – hanno una tale potenza da non aver bisogno di essere sorretti dalla biografia esplosiva dell’autore.

I’m going to come back to West Virginia when this is over. There’s something ancient and deeply-rooted in my soul. I like to think that I have left my ghost up one of those hollows, and I’ll never really be able to leave for good until I find it. And I don’t want to look for it, because I might find it and have to leave.

Queste parole Breece D’J Pancake le ha usate per concludere una lettera che scrisse a sua madre, e in un certo senso, in queste poche frasi, si può trovare molto del mondo emozionale  che Pancake ha riversato nei suoi racconti con una scrittura che ipnotizza e disorienta.

Tanti aggettivi potrebbero essere usati per descrivere la scrittura di Pancake. Ne sono pieni le numerose recensioni: scrittura torbida, a tratti enigmatica e metaforica, ruvida, essenziale ma anche poetica. Pancake dipinge quadri dalle tinte sfumate, la narrazione è accennata, spoglia. Succede poco o nulla e l’intensità dei gesti minimi è difficilmente descrivibile.  Per i personaggi di questi racconti la speranza di un futuro migliore sembra finita per sempre. Non cercherò quindi altri aggettivi da aggiungere alla lista. Penso solo che quando leggi un libro, dei racconti, capisci subito se questi ti stanno entrando dentro veramente, se ti ricoprono le ossa e si sedimentano nel tuo intimo, destinate ad accompagnarti per il resto della tua vita. Capita raramente, molto raramente, ed è bello quando capita e con Pancake, a me, è capitato.

10 thoughts on “Trilobiti – Breece D’J Pancake”

  1. Pingback: Bonnie ‘Prince’ Billy « Country Zeb

  2. Giro attorno a questo libro da quando lessi, tempo fa, un estratto sul sito di ISBN: Il racconto dei maiali. Da allora ogni tanto lo ritrovo sul mio cammino, mi sa che dovrò comprarlo…:)

    1. Grazie per la visita! Se interessa su questo blog c’è un altro post su Trilobiti, più recente e riguardo la nuova edizione. Un caro saluto.

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