by the way, what’s your name?

Inizia il periodo delle feste e dell’alcol che aiuta a parlare e a ballare. Il periodo delle mattinate passate a cercare di ricordare cosa si è detto, cosa si è fatto. Muovo gli arti in un ballo stanco, lei si avvicina. Ci prendiamo per mano come fossimo lì apposta per quello. Lei ha i capelli corti e l’orecchino al naso e io la seguo per le scale. Ricordo il materasso ad acqua, i suoni ovattati. Un’isola in una stanza vuota di cianfrusaglie. Vuota di cura per le cose. Una stanza di oggetti abbandonati senza padrone. Ci scambiamo calore come se non ci fosse alternativa. Galleggiamo. Sprofondiamo. Riemergiamo. Ci aggrappiamo l’un altro per non cadere, per creare un ricordo che dimenticheremo. Poi ci buttiamo addosso gli indumenti che ci eravamo strappati e scendiamo per la scala verso la musica e verso chi non ha badato alla nostra assenza. A metà scala si ferma, si gira, mi guarda e mi dice: by the way, what’s your name?

2 thoughts on “by the way, what’s your name?”

  1. Direi proprio di sì. Un parallelo in campo culinario: per anni ho mangiato unagi (うなぎ) lasciando che palato e stomaco giudicassero. Ricevendo segnali molto positivi ne sono diventato un patito e anche quando ho “scoperto” che in effetti si tratta dell’anguilla ho continuato a mangiarla. Il processo opposto, ovvero prima il ‘nome’ e poi la ‘cosa’, forse mi avrebbe inibito e mi sarei lasciato condizionare dal mio (pre)concetto sull’anguilla come alimento 🙂

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