I muscoli si tendono a spingere la bicicletta.
Quello sforzo di affrontare l’obliquo quando ero così abituato all’orizzontale.
Le case e gli alberi mi cadono addosso. Io li guardo dal basso, l’angolazione mi vede perdente.
Poi cammino sul marciapiede, il collo si inclina appena, verso destra.
Un cambio di prospettiva a ritrovare la verticalità delle cose, l’orizzontalità dei miei passi.
È tutto lì, come prima.
È una questione di ritrovare l’equilibrio ad ogni istante, e perciò non perderlo mai, e neanche mai averlo.
E le case, i palazzi, i lampioni, gli alberi si ergono dritti verso il cielo. Avanzano adagio, nella ritrovata pianura.
È così che si scavalcano le montagne, camminando fieri in pianura.