Tempo fa ho avuto un intenso “periodo-Philip Roth”. Uno dopo l’altro ho letto Il professore di desiderio, L’animale morente, e Inganno. Dopodiché per prendermi una pausa dal fosco e dal grottesco di David Kapesh ma senza allontanarmi troppo da Roth, ho letto Chiacchiere di bottega – Uno scrittore, i suoi colleghi e il loro lavoro. Questo saggio contiene interviste fatte dallo stesso Roth a scrittori ebraici e non , in un arco di tempo che va dal 1976 sino al 1990. Primo Levi, Aharon Appelfeld, Ivan Klima, Isaac Singer, Milan Kundera, Edna O’Brien, Mary McCarthy. Chiudono il libro un ritratto di Bernard Malamud, di Philip Guston, e un trattato critico sulla letteratura di Saul Bellow.
A Torino, nel 1986, Roth incontra Primo Levi col quale parla di Olocausto, precisione scientifica ed etica del lavoro ben fatto.
Milan Kundera, con il quale Roth dialoga a Londra e nel Connecticut (nel 1980), offre il suo approccio cosmopolita alla letteratura e la sua visione sul destino (e definizione) del romanzo. [Un romanzo è un lungo brano di prosa sintetica basato su in intreccio con personaggi inventati. Questi sono gli unici limiti. Con il termine sintetico intendo il desiderio del romanziere di cogliere il suo soggetto da ogni lato e con la maggiore completezza possibile]…[L’unità di un libro non deve per forza derivare dalla trama, può essere fornita dal tema].
Nel 1990 Roth incontra Ivan Klíma, scrittore praghese che dapprima ha vissuto, come ebreo, l’invasione nazista, poi come intellettuale è stato sottoposto alle vessazioni del regime comunista. Ad Ivan Klíma si deve la nascita e la propagazione del samizdat: movimento culturale clandestino che si alimentava di scritti, pubblicazioni, poesie, riviste, libri completamente stampati al di fuori di ogni ufficialità e diffusi attraverso ciclostili o edizioni artigianali, ma che si diffondevano in tutto il paese, e pertanto erano sottoposti al feroce controllo da parte della dittatura comunista.
Il ritratto di Malamud, del quale sto leggendo giusto ora Il Barile Magico, offre numerosi spunti. Quando Roth lo incontra per la prima volta (nel 1961) non può fare a meno di notare la disparità fra la narrativa di Malamud e la sua figura come uomo. Malamud gli appare come [una persona del tutto insignificante, una sorta di assicuratore]… un tipo [sul quale puoi avere la meglio solo morendo]. La loro amicizia prosegue per venticinque anni, fino alla morte di Malamud, nel 1986. Un’amicizia a fasi alterne ma sempre supportata da un enorme rispetto reciproco. [Benché il piu delle volte io e Bern finissimo per parlare di libri e di scrittura, non alludevamo quasi mai alla reciproca produzione narrativa, e soprattutto non ne discutevamo mai, osservando una regola di cortesia non scritta vigente tra i romanzieri, così come nello sport tra i compagni di squadra rivali, che prende atto di quanta poca sincerità si sarebbe in grado di sopportare dall’altro, per quanto profondo possa essere il rispetto reciproco].
Ed infine l’ultimo capitolo: Rileggendo Saul Bellow. Beh, che dire, leggere un saggio critico di Roth subito dopo aver letto, per esempio, La resa dei conti, non è poca cosa. Ho chiuso l’ultima pagina con un forte senso di gratitudine per Roth, per aver condiviso queste sue conversazioni con alcuni fra i più grandi romanzieri del XX secolo.