Il Signor Bovary – Paolo Zardi

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La cosa che Paolo Zardi fa con la prima persona singolare nel suo Il Signor Bovary, ecco è una cosa che la prima volta che la vedi entrare nel testo ti vien proprio voglia di chiederle Ma chi sei? Cosa vuoi? Tu non c’entri con questa storia. Domande inutili, lo sai bene, quello è un seme che sta già germogliando e che ti condurrà inesorabilmente alla fine. E allora quando poi lei, la prima persona, torna, tu cominci ad apprezzare la sua discrezione, la accogli, le dai spazio. Si va avanti così, ci si trova a percorrere la spirale conica discendente, con le rivoluzioni che si fanno più strette a ogni pagina, e non si riesce a smettere: Zardi ci ha già anestetizzato. Rimane solo un unico neurone, il primo a essersi accorto di quella presenza “anomala”, che si mantiene vigile e curioso: dove mi porterà quella prima persona singolare?

Si arriva quindi alla fine, quando la prima persona esce (quasi) allo scoperto. Si stacca dalla storia, ma non come farebbe – e come ha fatto durante tutto il testo – la voce narrante. Si stacca come fosse il finale di un film di Antonioni, con l’addetto alla cinepresa che rimane da solo a vagare sulla scena, senza più una direttiva e finendo lui stesso a chiedersi il senso della sua esistenza. Così fa la prima persona singolare di Zardi ne Il Signor Bovary e le domande che lei si pone finiscono per essere le nostre, di noi lettori, una volta letta l’ultima pagina. Sono domande, quelle, che raggiungono un valore assoluto, applicabile a ogni parola scritta e a ogni parola letta. Domande che ci fanno scavare dentro noi stessi, come se le vicende della storia narrata non bastassero a creare corto circuiti interni fra cuore, mente e budella.

Sul resto del libro non dirò niente – sarebbero solo complimenti – ma sono già uscite recensioni più assennate di questa (alcune sono raccolte qui) e non rimane altro da dire se non che quei tre euro tondi (preferibilmente da versare dritti dritti sul sito dell’editore, Intermezzi, qui) sono un niente in confronto a questo ennesimo viaggio che la penna di Zardi ci offre.

Un’ultima cosa: Zardi lo si conosce principalmente per i racconti, due raccolte per la Neo. (Antropometria e Il giorno che diventammo umani) che si leggono come rasoiate al costato, per il romanzo La felicità esiste, Alet ed. (dopo averlo letto ho scritto una lettera al protagonista), nonché per i vari racconti sparsi in antologie. È un autore che si sta velocemente affermando e le sue opere stanno incontrando un consenso sempre più ampio. E ora qui, in questa lunghezza intermedia (Il Signor Bovary è incluso nella collana ottantamila- ebook della Intermezzi). Si dice che questa misura, a metà fra il racconto e il romanzo, non abbia mercato – un plauso maggiore quindi a Intermezzi per l’audacia – ma è proprio questa forma del racconto lungo, mi sembra, la lunghezza con la quale Zardi riesce a dare il meglio, la tensione dei suoi racconti è perfettamente mantenuta ma a quello si aggiunge una narrazione a più ampio respiro che gli permette di scavare più in profondità e permette a noi lettori di godere della sua scrittura per un periodo più lungo. O forse ancora, ora che ci penso, non è questione di misura: quando Zardi scrive bisogna leggere. Punto.

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