Jack ‘bebop’ Kerouac

In pieno spirito on-the-road, i libri di Kerouac li ho letti prendendoli in prestito dalle biblioteche pubbliche delle città nelle quali mi trovavo, oppure li pescavo da uno scaffale in casa di amici e poi li divoravo sdraiato sul loro divano.

E così oggi nella mia libreria i suoi libri non ci sono. Per fortuna però Kerouac si può anche ascoltare. Qui sotto riporto la mia traduzione (per Vicolo Cannery) di un brano di Douglas Brinkley nel quale viene descritta la nascita del bebop, come l’improvvisazione jazz abbia influito sulla sensibilità di Kerouac, l’utilizzo del metodo jazzistico nella sua prosa, e i primi esperimenti registrando la propria voce.

Jack ‘bebop’ Kerouac

Il bebop, uno degli sviluppi più duraturi nell’evoluzione del jazz, è nato al Minton’s Playhouse  (210 West 118th Street nell’Upper Manhattan), un piccolo club gestito dall’ex capo orchestra Teddy Hill. Nel 1941, Hill ha chiamato un duo composto dal pianista/compositore Thelonious Monk e dal batterista Kenny Clarke, e ciò che i due hanno creato con le loro improvvisazioni freeformavrebbe trasformato la cultura musicale americana. Le jam sessions al Minton’s Playhouse avvenivano in modo spontaneo e informale, dando la possibilità ai musicisti di sperimentare nuove idee come il flatted fifth (la quinta diminuita che, in realtà era già stata sperimentata dal compositore russo Igor Stravinski nel 1910).  Uno tra i clienti più entusiasti, quello che pestava sui bonghi e si lanciava in improvvisazioni vocali (scat singing), era Jack Kerouac.  È al Minton’s che Kerouac ha iniziato a sviluppare il suo “orecchio bop” ascoltando le improvvisazioni di Dizzy Gillespie alla tromba e di Charlie “Bird” Parker al sax e appuntandosi i propri riff sull’immancabile quadernetto, come ad imitare i suoi eroi delle notti bop.

Colui che per primo ha introdotto Kerouac al fenomeno dell’ avan-garde bebop è stato Seymour Wyse, ex compagno di scuola ai tempi della Horace Mann nel 1939-1940. Wyse, nel 1949, presentò a Kerouc il pioniere delle registrazioni jazz: l’ingegnere e produttore Jerry Newman. Newman era un impresario socievole che spesso registrava le jam sessions jazz al Minton’s e in altri club come il Monroe’s Uptown House (West 134th st. ad Harlem) e il Three Deuces sulla 52esima. Kerouac considerava Newman un mago del suono, uno che sapeva tutto del jazz, passato e presente. Per ricambiare il complimento – e dimostrando la sua grande influenza sulla scena jazz Newyorkese – Newman convinse Dizzy Gillespie a intitolare uno dei suoi arrangiamenti “Kerouac”.

“Quando ho ascoltato Bird e Diz per la prima volta al Three Deuces, sapevo che erano musicisti seri che stavano suonando qualcosa di nuovo, di bizzarro, e che non gliene importava niente di quello che pensavo”, disse Kerouac nel 1959. “Infatti, una sera ero appoggiato al bancone del bar con una birra quando Dizzy è arrivato per chiedere un bicchiere di acqua al barista, si è messo esattamente davanti a me e ha allungato entrambe le braccia ai lati della mia testa per prendere il bicchiere. Poi se ne è andato ballando, come se sapesse che un giorno avrei cantato sulla sua musica, o che uno dei suoi arrangiamenti, per qualche buffo motivo, sarebbe stato intitolato col mio nome”. Certo è che a quel tempo erano pochi gli studenti bianchi che si univano a Kerouac per passare le sere ad Harlem dondolandosi col bop, e quindi è normale che il trombettista notò quel giovane fan (di Lowell, Mass.). “How’s my man, JK?” chiedeva spesso Gillespie, anni dopo, al collega David Amram. ” Come sta il francese?”

Dopo un breve periodo nella marina mercantile Kerouac torna a New York. Mentre la guerra contro il fascismo era ancora in corso, Kerouac e la sua futura moglie Edith “Edie” Parker (che viveva in un appartamento al sesto piano del 421 di West 118th street) passavano le serate nei club di Harlem fino all’alba, conversando con Billie Holiday, bevendo Old Crow con Lester Young, e facendosi rapire dalle meraviglie cromatiche di Coleman Hawkins al sax tenore.

Anche se la giovane coppia aveva gusti musicali che spaziavano dai lavori classici di Bach e Beethoven ai traditional blues dell’Est Texas di Huddie “Lead Belly” Ledbetter, era il bebop ciò che li faceva emozionare più di ogni altra cosa. Kerouac era affascinato da come Charlie Parker trasformava le variazioni di tempo in melodie completamente nuove, da come Dizzy Gillespie creava nuove arie dalle sequenze armoniche di standard del passato, e da come Art Tatum alterava accordi e intervalli ottenendo sonorità mai sentite.  La stessa passione portò Kerouac a passare ore nel negozio di musica di Newman al Greenwich Village e al suo appartamento (West 11th street, vicino alla White Horse Tavern), per ascoltare gli ultimi V-discs  (Victory Disc: dischi registrati dal governo per essere distribuiti ai militari americani impegnati nella guerra.) di Frank Sinatra o delle ballate di Burl Ives.

Nel 1949, Newman e Seymour Wyse fondarono un etichetta, la Esoteric/Counterpoint, e chiesero a Kerouac di aiutarli a contattare musicisti jazz e a scrivere brevi testi (liner notes) per le copertine degli album. L’etichetta pubblicò solo una manciata di album prima di scomparire e nessuno dei testi di Kerouac venne mai utilizzato. Le sue liner notes però trovarono posto altrove, dal momento che nessun altro scrittore ha scritto di jazz con un entusiasmo paragonabile a quello di Kerouac, in particolare nel suo sottovalutato “Mexico City Blues” – 242 poesie presentate come una lunga Sunday-afternoon jam session.

Kerouac non era uno studioso di jazz in senso ortodosso, come LeRoi Jones o Albert Murray. Jack lasciava che le emozioni colorassero le sue descrizioni e critiche dei musicisti, scrivendo più da fan che con una conoscenza tecnica dei nuovi schemi ritmici, delle armonie, delle trame e strutture del bop. Stava creando una prosodia del bop, descrivendo la poetica della musica piuttosto che analizzandone il valore tecnico.

Ma Kerouac non si accontentava di applaudire seduto dalla parte del pubblico. Presto, incoraggiato da Newman, lo scrittore iniziò a cimentarsi in quello che lui stesso definiva “fare il buffone” davanti a un registratore, scimmiottando Bing Crosby in una canzone d’amore o sfogandosi con una cantilena da ubriacone. Nel 1949 sia Newman che lo scrittore John Clellon Holmes iniziarono a registrare la voce dell’amico su dischi in vinile e Kerouac stesso si mise a a fare esperimenti con un registratore a nastro per vedere se i suoi sfoghi di prosa spontanea avessero quel ritmo musicale che F.Scott Fitzgerald riteneva essere alla base della grande scrittura.

L’interesse di Kerouac per le registrazioni venne poi rinforzato dalla scoperta di straordinari album vocali di poeti come Langston Hughes, Carl Sandburg e Dylan Thomas. Questi album, e in particolare la registrazione di “A Child’s Christmas” di Thomas, convinsero Kerouac che la prosa dovesse essere letta ad alta voce, in pubblico, come accadeva nella Grecia di Omero e nell’Inghilterra di Shakespeare. Influenzato sia dai suoi amici, i poeti Philip Lamantia e Bob Kaufman, sia da quello che il poeta dell’Illinois Vachel Lindsay fece negli anni venti, Kerouac iniziò ad esplorare la possibilità di combinare jazz e versi spontanei.

Il bebop fu di ispirazione a Kerouac per eludere il blocco dello scrittore attraverso il medesimo procedimento dell’improvvisazione: ovvero registrando il processo stesso della creazione. Questo era un metodo creativo legittimato dalla scrittura automatica di William James, dalle poesie scritte in stato di trance di William Butler Yeats, dal primo happening al Black Mountain College, e dalla pittura col metodo dripping di Jackson Pollock, col quale Kerouac amava bere al Cedar Tavern nel Greenwich Village. Kerouac però scelse Charlie “Bird” Parker (di Kansas City) come suo vero avatar, “disegnando il respiro e soffiando una frase nel sax fino a rimanere senza fiato, e così facendo, la sua frase, la sua enunciazione, viene compiuta… e così è come io separo le mie frasi: come interruzioni del respiro della mente”

Quando On the Road venne pubblicato, nel 1957, Kerouac era pronto per iniziare una recording career: Oltre al suo virtuosismo di atmosfere, umori e tonalità, possedeva una bellissima voce e un modo particolare di assaporare ogni sillaba. Secondo Allen Ginsberg nessuno aveva la stessa verve di pronuncia, la colorazione profonda delle vocali e il morso delle consonanti, oltre a una squisita intelligenza e consapevolezza nell’incrociare le T e pronunciare le D spingendo la lingua contro i denti con le labbra aperte”.

Verso la fine del 1957 Kerouac fece una serie di readings nel Village. Con l’accompagnamento musicale di David Amram si esibì al Brata Art Gallery, al Café Figaro e al Five Spot e, con un altro gruppo di musicisti jazz, al club trendy Village Vanguard. Sulla scia delle sue serate live – che ricevettero critiche entusiaste – Kerouac firmò contratti per registrare tre album nel 1958 e 1959 con le etichette Hanover e Verve: Poetry for the Beat Generation, Blues and Haikus (con Al Cohn e Zoot Sims, entrambi al sax tenore) e Readings by Jack Kerouac on the Beat Generation, prodotto da Bill Randle (che divenne poi un produttore rock).

Queste sono solo le registrazioni ufficiali di Kerouac (tuttora in stampa con Rihno e Verve). Durante la fine degli anni ‘50 e ‘60 Jack si è spesso registrato a casa sua a Northport, New York e Orlando, Florida, improvvisando sui dischi di Bessie Smith o aggiungendo versi ai pezzi strumentali di Duke Ellington: un processo che lui chiamò “From Mind to Voice“. Jack si registrò anche mentre leggeva sue poesie inedite o haikus, probabilmente per testarne la forza orale. Qualche volta andava al Village, nel retro del negozio di Newman, per cantare melodie blues alla Big Joe Williams o per lanciarsi in un improvvisato monologo come ad imitare l’eccentrico Lord Buckley.

Chiaramente Kerouac non era il solo in questa inclinazione a registrare i propri lavori. Jazz e poetry reading erano parecchio in voga alla fine degli anni ‘50 e infatti anche i poeti Lawrence Ferlinghetti, Kenneth Patchen e Kenneth Rexroth hanno pubblicato album. Rimane però che Kerouac fu l’unico ad avere il coraggio di misurarsi col pop-singing, sebbene in segreto. Ora non più.

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