La signora con il cagnolino


La signora con il cagnolino è uno dei racconti più famosi di Cechov, e io me lo sono letto per bene. Già l’incipit è di quelli che non si dimenticano facilmente:

“Si diceva che sulla passeggiata lungo il mare fosse comparsa una faccia nuova: una signora con un cagnolino”.

Nel racconto viene narrata la vicenda di Gùrov, playboy di successo, donnaiolo d’esperienza, convinto e impenitente. Non ha mai avuto problemi a fare conquiste, ma quando nota, e poi incontra, Anna Sergèevna, le cose cambiano. Entrambi sono in villeggiatura a Yalta. Anna è giovane, innocente e prima di incontrare Gùrov non aveva mai tradito suo marito. E così dopo il primo incontro d’ amore Anna si sfoga, piange e si disprezza. Gùrov era abituato a frequentare donne che vivevano gli incontri amorosi con la sua stessa leggerezza d’animo  e quindi è annoiato dallo sfogo  di Anna, la ignora e si mette a mangiare un’ anguria, lentamente.  Finita la vacanza entrambi tornano alla propria città di provenienza, Anna a S. e Gùrov a Mosca.

In passato, dopo ogni tradimento, il tornare alla routine della vita domestica faceva sì  che Gùrov dimenticasse velocemente la donna con la quale era stato.  Ma questa volta è diverso: Gùrov non riesce a dimenticare Anna. Di fronte a un sentimento per lui nuovo entra in crisi. Quando non riesce più a tenere dentro di se il proprio tormento prova a confidarsi con un collega. Ma, così come lui aveva ignorato lo sfogo di Anna, il collega ignora il suo tormento cambiando discorso. Gùrov è distrutto.

Infine decide di andare a trovarla. Ormai è in balia dei sentimenti che prova per lei. E’ debole e se ne rende conto. Il racconto prosegue descrivendo l’incontro fra i due in un teatro, in una scena vorticosa che si conclude con la promessa di Anna di andare a trovarlo a Mosca. Questo episodio dà il via a sotterfugi, amori consumati di nascosto e incontri segreti che si protrarranno fino alla fine del racconto. Il racconto infatti si conclude senza la risoluzione del “conflitto” (senza il Terzo atto, narrativamente parlando). Questo tipo di finale, così poco classico, diventerà una caratteristica  dei racconti di altri scrittori  (Carver, per esempio). Racconti nei quali la vicenda rimane sospesa, abbandonata all’ immaginazione del lettore, con i personaggi che escono di scena portando con loro la propria situazione irrisolta.

Nella terza parte del racconto c’è un passaggio che mi ha fatto riflettere. Non è un passaggio fondamentale nello svolgimento della storia ma serve per espandere il conflitto di Gùrov, a renderlo assoluto in quanto condizione dell’ essere umano. Ecco il passaggio:

“E per uno strano concorso di circostanze, forse casuale, tutto quello che per lui era importante, interessante, necessario, tutto quello che per lui era sincero e non truffava se stesso, che costituiva il germe della sua vita, avveniva di nascosto dagli altri, mentre tutto quello che per lui era menzogna, quello che costituiva la scorza in cui si nascondeva per celare la verità, come, ad esempio, il suo lavoro in banca, le discussioni al circolo, la sua “razza inferiore”, l’ andare con la moglie ai vari ricevimenti, tutto ciò era palese. E giudicando gli altri da se stesso, non credeva a quel che vedeva e supponeva che in ogni individuo sotto una coltre di segretezza, come sotto un velo di tenebre, si occultasse la sua vera vita, quella più interessante.  Ogni esistenza individuale si mantiene nel mistero, ed è forse in parte per questo che l’uomo civile si dà tanto da fare perché venga rispettato il segreto di ognuno”.

In particolare, l’ultima frase appare quanto mai attuale. Ma che i racconti di Cechov siano moderni e attuali anche a distanza di un secolo (questo lo scrisse nel 1902, due anni prima di morire a 44 anni) non c’è bisogno che lo ripeta io.

Ora a me vengono alcuni pensieri: è certamente vero che ognuno di noi è costretto, perlomeno in alcuni frangenti della vita, a vivere le proprie passioni nascondendosi e a dover portare avanti una doppia vita, con la consapevolezza che quella più entusiasmante, più sentita, e forse anche più vera, è quella nascosta.  Mi chiedo però: non è che proprio perché alcune passioni vengono vissute in clandestinità che esse risultino più entusiasmanti ? Ovvero risultino più assuefacenti proprio perché devono essere tenute nascoste. Sì, sto parlando del piacere del “peccato”. E poi, esiste veramente qualcuno senza questa doppia vita? Senza questi due livelli coesistenti ma reciprocamente impenetrabili? Esiste veramente qualcuno completamente trasparente? E se veramente lo è, o dice di esserlo, non sarà per questo un po’ noiosetto?

Concludo con un’ altra frase di Cechov, tratta da “La steppa”, che in sostanza riassume, molto meglio di me, quello che volevo dire.

Perché Dio accorda la bellezza e questa affabilità, questi occhi malinconici a uomini deboli, disgraziati, inutili e perché essi ci piacciono tanto”.

2 thoughts on “La signora con il cagnolino”

  1. Credo che Gurov ragioni in quel modo perché ha conosciuto l’amore; che supponga che ‘in ogni individuo… come sotto un velo di tenebre, si occulti la vera vita’ perché quello sta accadendo a lui, per la prima volta. Quel sentire per un’altra creatura, che non ha ragione biologica, e in fondo nessuna spiegazione razionale, è forse l’unico agente che rivela, come la morte, il superfluo dell’esistenza. Ci pare, ad un tratto, che la scala delle priorità sia alterata, e finalmente veritiera. Giudichiamo con quel metro, l’essere o non essere con la persona amata, tutto il resto. La sottigliezza di Cechov sta nel far trasparire i pensieri del personaggio mentre procede a tentoni, interrogandosi.

    Quanto alla domanda, complessa, se alcune passioni non siano più forti perché vissute in clandestinità, se in fondo i ‘trasparenti’ non siano noiosi, direi che qualunque cosa prepotentemente, irresistibilmente vera frantuma il segreto e la bugia di un’esistenza come vetro. Di persone trasparenti, in cui intimità e comportamento sociale coincidono, fino quasi a renderli una cosa unica, ne ho conosciuta una. È una strada sofferta e, per me, mirabile. ‘This above all: to thine own self be true’.

    Un’ulteriore grandezza del racconto sta nel finale aperto, che a suo modo, cent’anni dopo, reinterpreta Alice Munro: restituire l’indeterminatezza dell’esistenza, i significati che si nascondono e ci eludono, sulla pagina. Sono due maestri.

    Grazie per aver suggerito la lettura.

    1. Grazie Emma per il tuo commento (il primo di questo blog!). Come ti ho già scritto non potevo sperare in un contributo migliore! Hai colto il mio spunto e hai rilanciato, aprendo la strada per dialoghi a venire, on- e off-line. Ti aspetto ancora qui e/o magari sulle Alpi!

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