Qui la vita è semplice. Ogni mattina salgo in macchina e vado al lavoro: trenta miglia per andare e trenta per tornare, e sulla strada incrocio al massimo tre o quattro macchine. Vivo in una piccolo paese e per andare a vedere un film al cinema bisogna fare venti miglia. La mia preoccupazione maggiore è quanta legna abbiamo per costruire una recinzione che sia alta abbastanza per tenere fuori i cervi. Non faccio esercizio e sto ingrassando. Lavoro per il governo federale e la concorrenza è minima. Il mio sforzo più grande è cercare di convincere la madre di Kyle a concedergli del tempo con me e Juliet.
Le montagne di Phoenix sono un posto speciale. Sono disseminate di frammenti di vasi di terracotta e fino a pochi secoli fa ci vivevano centomila persone, prima dei Messicani e degli “Anglo”. Sarà sempre un posto speciale per me. Mi sento un aborigeno quando cammino nel deserto. Rispetto quella terra, ne conosco ogni angolo, come fosse la mia padrona. Non la temo, io, come invece fanno altri. Le sue condizioni, a volte estreme, richiedono rispetto, come la tundra o la foresta pluviale.
I tatuaggi dell’orso sono in parte realtà e in parte finzione. Da bambino mi è stato dato il soprannome Jer-Bear ma posso solo sognare che la mia anima sia pura e maestosa come quella di un orso. In qualche modo mi sembra ci sia una certa somiglianza: gli orsi in Arizona sono piccoli e a volte sembrano dei grossi topi bagnati. Vengono scacciati dai secchi dell’immondizia e non hanno accesso alle bacche e all’acqua, come succede da altre parti. Devono camminare cinquanta miglia per potersi accoppiare. Il creatore li ha messi un ambiente poco accogliente e devono arrangiarsi. Quegli orsi meriterebbero di più, ma alla Vita non importa, e così sopravvivono.
Il vento dei Navajo è pungente. I Navajo sono gente abbattuta, non solo dal vento freddo, ma anche da anni di pregiudizi, idee sbagliate e dalla “politica dei bianchi”. I Navajo indossano soltanto una camicia di flanella. Estate o inverno, non importa. Se siamo sotto lo zero: flanella. Se è ora di rinfrescarsi in una pozza di acqua fresca: flanella. I Navajo sono parte del paesaggio e anche del clima. I nativi non vedono la spazzatura alzata dal vento che si sparge per la riserva: è parte del paesaggio ormai. La terra nel nord dell’Arizona è qualcosa di più di un luogo sacro. È qualcosa di diverso, anche per quelli che sono gli standard del sud ovest degli USA. Freddo d’inverno, caldo d’estate. Un posto dove la gente ha vissuto allo stesso modo per mille anni. C’è gente che lavora al telaio, tesse tappeti, altri che si occupano delle pecore, e ancora riescono a sentire la voce dolce del vento, più forte del freddo sulla loro pelle.
La vita è una cosa buffa. È un cerchio continuo. Oggi non sono più saggio di quanto lo sia mai stato in qualsiasi altro momento della mia vita. Oggi mi va bene la semplicità e sono contento che se non altro verrò ricordato come un uomo gentile che voleva di più per il mondo, più di quanto abbia mai ricevuto. Non ho idee grandiose in testa e non mi importa più di avere “visioni psichedeliche”. Ogni sera bevo almeno due birre che vanno dritte ad accumularsi nella mia pancia. Faccio veramente poco, a parte occuparmi della catasta di legna e costruire il recinto per tenere i cervi lontani dall’orto. Riesco a vedere Kyle ogni due o tre settimane e prego Dio che quella squilibrata di sua madre capisca che lui vuole passare più tempo con me e Juliet.
Nella vita qualche volta cresciamo alti e magri, poi diventiamo pigri e diventiamo grassi. Ecco, sono nella fase rilassata e grassa della vita. Gli ultimi cinque anni hanno messo a dura prova la mia capacità di resistenza. Ce l’ho fatta ma non ho più le scintille negli occhi come una volta, né la forza di un tempo. Vorrei riuscire a dare di più al mondo là fuori ma a questo punto l’unica cosa che posso offrire è la mia onestà.
Jer-Bear
American Country
fotografie dall’America più remota.
Nella stessa serie:
2 thoughts on “Phoenix mountains”
Che meraviglia!
🙂 bello tenere gli occhi su una catasta di legna.