Ricordare il 2015

Flock of sheep, New Zealand, Pacific

Da molti anni ho smesso di partecipare al gioco, tutto umano, che vuol dividere l’esistenza in pezzi uguali per poi impacchettarli con fogli di calendario. E su ogni pacchetto un nastrino, annodato a fiocco con la cura delle occasioni speciali, per reggere il foglietto con i propositi per l’anno nuovo.

Piuttosto mi è capitato di dedicare attenzione non tanto al cosa ma al come. E quindi una nuova struttura delle pagine dell’agenda. Ricordo la pulsione a considerare la vita in modo olistico creando caselle sull’agenda settimanale per le categorie Corpo, Spirito, Mente, per ricordarmi di nutrire la mia esistenza in tutte le sue componenti.

Oggi, molto più semplicente, mi sembra che “La vita è solo un breve periodo di tempo nel quale siamo vivi” come Philip Roth ha fatto dire a Merry Levov nel suo romanzo Pastorale americana.

Oggi sembra che lo sforzo maggiore sia diretto al mero stare a galla, navigando a vista e lasciandosi trasportare dal fiume denso di giorni, uno dopo l’altro, di impegni di lavoro e logistiche familiari, preoccupandomi più che altro di riuscire ad andare a letto sereno e chiudere gli occhi in una casa riscaldata dall’amore della mia famiglia.

Quest’anno c’è qualcosa di diverso, o forse ciò che sento è solo una lieve variante di pensieri già fatti. Quest’anno il mio propositio è innanzitutto di ricordare. Ricordare, pare banale. Ricordare è diventato un proposito imprescindibile quando, verso la fine del 2014, ho ripensato all’anno appena trascorso e ho provato un certo terrore per il fatto che non ricordavo niente. Ho fatto molta fatica a raschiare fra gli interstizi della mia mente per tirarne fuori qualcosa. Cosa ho fatto nei dodici mesi appena trascorsi? Cos’è successo? Scavare nella cronologia delle email per trovare indizi, scorrere con il pollice fra le foto scattate col telefonino per rivedere immagini e risvegliare i ricordi, e ancora, le cartelle di foto sul computer, archiviate in modo più disciplinato da mia moglie, la fotografa di casa con un senso per l’immagine certamente piu raffinato del mio. E poi cos’altro? La timeline di facebook (che mi ha dato pochi risultati), libri impilati di fianco allo scrittoio, estratti conto, ah già, ricordarsi delle vacanze guardando gli estratti conto della carta di credito. E poi gli oggetti sparsi per casa, i vestitini della piccola, più grandi dell’anno scorso, i pannolini – verso novembre è passata alla misura cinque – la cartella e i libri della prima elementare del grande, che un anno prima non c’erano. La musica, meno peppa pig e più J-pop. Una cicatrice sul corpo di mia moglie, una mia barba piu lunga, alcuni dolori sparsi per il corpo.

Torno ai libri: una costellazione di viaggi all’interno del viaggio di un anno. Guardo a sinistra e vedo Carrère (L’Avversario – ricordo che mi ci è voluto un po’ per riprendermi, e ancora di più mi ci era voluto per decidermi a leggerlo); Camus (La caduta e Lo straniero, letto e poi riletto guardano la trasposizione cinematografica di Luchino Visconti); Coetzee (Vergogna); De Lillo (Rumore bianco) Cortázar (Rayuela, un libro che non finisce mai, un libro che non va mai finito); Nabokov (Cose trasparenti, scelto per traghettarmi a Lolita, ma senza successo); tutto Houellebecq (letti di fila uno dopo l’altro, l’illusione di aver trovato un grande, la consapevolezza di aver trovato picchi di letteratura e di espressione del pensiero umano, ma anche vallate di passaggi tutto sommato trascurabili e una certa ripetitività nelle sue opere); De Amicis (Quando eravamo prede – ne ho scritto qui); Bernhard (Il soccombente, ci ho provato) e poi alcuni altri che, appunto, non ricordo. E almeno altri due (non fiction) che sono diventati testi fondamentali per me, per vari motivi, per il mio costante di sforzo di trovare la narrativa del mio lavoro quotidiano.

Anche l’elenco dei post in modalita bozza qui sul blog ha evocato ricordi: Uno sull’ultimo di Kundera (La festa dell’insignificanza, del 2013) forse talmente trascurabile che non sono riuscito a scrivere niente se non riportare un elenco di recensioni e una bella intervista a Massimo Rizzante (traduttore di Kundera). Ma forse il mio amore per Kundera aveva già trovato la sua massima espressione con questo post. Uno iniziato sulle Donne di Moravia (avevo grandi aspettative per quel post, magari riuscirò a riprenderlo). Uno sul “non scrivere” (che finirò di scrivere).

E poi i post pubblicati nel 2014, dieci (minimo annuale da quando ho aperto questo blog nel Febbraio el 2011) tra i quali ricordo con più affetto la mini serie iniziata con Phoenix mountains, la traduzione delle lettere di Pancake e la traduzione di un articolo di W.Burroughs jr. (Esquire 1971).

E quindi ora, avanti col 2015, ricordando i primi due libri letti in Gennaio: Pastorale americana di P.Roth, libro che è andato immensamente oltre le mie aspettative. Libro che mi ha fatto capire che anche se già mi ritenevo un estimatore di Roth, quei tre o quattro libri suoi che avevo letto erano ben poco rispetto a questo libro monumentale. Forse il romanzo più bello che abbia mai letto.

E poi Sottomissione di Houellebecq, col quale si conclude la parabola discendente della mia esperienza con lo scrittore francese. Tante recensioni già uscite, io mi allineo con quelle più tiepide e mi trovo d’accordo con quanto scritto da Massimiliano Parente su Il giornale:  tesi forte, romanzo debole, due palle grandi come una moschea.

ps: la foto in alto è perché per la parte del mondo dove nasce il sole questo è l’anno della pecora.

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