Mi sembra un’opera Zardiana per antonomasia, con tutti i relativi pregi.
È raro trovare una scrittura così precisa e una tale abilità di scandagliare l’animo umano e in particolare i temi relativi all’amore e al rapporto di coppia – ma questo lo sapevamo già, conoscendo bene i testi di Paolo.
Si prova, direi, un piacere quasi fisico nel leggere le sue frasi: una perfetta sincronia fra il cosa viene detto e il come. Si ha la netta sensazione che non ci sarebbe stato modo migliore, più preciso, più tagliente, per esprimere ciò che l’autore ha voluto trasmetterci. Le parole risuonano nella testa che le accoglie senza alcuna incrinatura, provocando, appunto, un piacere intellettuale e sensoriale.
Questa stessa sensazione, che difficilmente si incontra sulla nostra strada di lettori, avevo provato ad esprimerla tempo fa in un altro post prendendo in prestito la parola trasparenza, intesa come perfetta sintonia con i caratteri stampati che attraverso gli occhi raggiungono la mente e diventano parole, suoni, immagini, e pensieri. Una combinazione di aspetti grafici, sonori e semantici che, quando dosati alla perfezione, portano alla trasparenza: l’assenza di alcun tipo di disturbo, di attrito, di stridio. Come l’acqua a riposo in uno stagno ci fa vedere il fondo con limpida chiarezza, come se l’acqua non ci fosse.
Questa, per me, è la scrittura di Paolo.
Tante recensioni sono già apparse a testimoniare il valore di quest’ultima sua opera. Non ne aggiungerò un’altra. Mi unisco però al coro degli elogi e nel farlo provo un particolare piacere in quanto conosco Paolo fin dai tempi di Antropometria. Tempi che sembrano lontani, a giudicare dal volume di consensi che sta ottenendo, con merito, e della maturità che possiede come autore. In realtà, la cosa stupefacente è che sono passati solo cinque anni da Antropometria, e in così poco tempo Paolo è riuscito a seguire la sua strada con invidiabile costanza scrivendo opere di valore sempre crescente (Antropometria, 2010; La felicità esiste, 2012; Il giorno che diventammo umani, 2013; Il signor Bovary, 2014; più una felice serie di racconti pubblicati in antologie e su riviste letterarie – elenco completo qui) fino a questo XXI Secolo, il quale, evviva!, è stato candidato al Premio Strega.
Aggiungo soltanto una considerazione, in forma di critica (non me ne voglia Paolo) riguardo proprio il XXI secolo di cui si narra nel libro. In questa bella intervista, alla domanda “Pensi davvero che il XXI sia candidato a diventare il «secolo più merdoso della storia»? E perché?“, Paolo ha risposto così: “Le premesse ci sono tutte. Nel passato, abbiamo avuto secoli decisamente più cruenti, più terribili, più folli, ma dobbiamo risalire forse, alla prima metà del quinto secolo dopo Cristo per ritrovare una simile mancanza di futuro. La curva di crescita dell’Occidente (e non parlo solo di economia, ma anche di capacità di partorire nuove idee, di fermento culturale, di produzione artistica) ha un’inclinazione negativa da decenni, e le cause di questo declino sono strettamente legate al modello che ci ha permesso di diventare la parte più ricca del mondo, e cioè aver posto il profitto come unico obiettivo di qualsiasi attività. Se questo sistema durasse, potremmo anche arrivare a farcene una ragione, ma, come diceva qualcuno, bisogna essere degli idioti o degli economisti per credere in una crescita esponenziale in presenza di risorse finite. Quando finiranno i soldi, ci troveremo nella società più desolata di tutti i tempi”.
Sottoscrivo ogni parola di questa sua risposta (poi vado a leggere come si stava nel V secolo d.C.) ed è appunto per questo che mi sono chiesto perché Paolo abbia scelto di collocare la sua narrazione in un futuro prossimo. Sebbene si tratti di una breve traslazione temporale nel futuro, (una cinquantina di anni?), a tratti mi è parso che l’elemento distopico abbia indebolito la forza della narrazione. Nel XXI secolo ci siamo dentro fino al collo, la sensazione di declino economico e culturale è già fra noi, perché allora le auto bruciate, la guerriglia urbana, le situazioni vagamente surreali, a volte grottesche? Non vedo l’ora di discuterne direttamente con il signor Paolo Zardi e auguro al suo XXI Secolo ogni bene possibile perché sono persone come lui, scrittori come lui, con la sua capacità di analisi del presente (andate a leggere un qualsiasi post del suo blog) che forse possono trasmetterci un briciolo di speranza mentre corriamo, con una benda sugli occhi, dritti nel XXI secolo.
2 thoughts on “XXI Secolo – Paolo Zardi”
Ottima recensione. Grazie Marco!
Grazie Angelo, Ottimo libro!